domenica 16 settembre 2012

Quando il papa falsifica la storia

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“Il credente autentico non può dare la morte”. La dichiarazione del papa è stata strillata ieri su quasi tutti i quotidiani, anche quelli ritenuti “laici” come Repubblica. Viene da chiedersi chi sarebbe allora a dare la morte: il falso credente? O il non credente? Ammesso e non concesso che il papa abbia detto effettivamente questo. E ammesso e non concesso che ci creda, il papa, a quello che dice.
Facendo una ricerca sul sito ufficiale della Santa Sede si nota che la frase non è stata mai pronunciata, perlomeno in questa forma. O perlomeno nel corso del viaggio in Libano. Benedetto XVI avrebbe invece dichiarato che “la fede autentica non può condurre alla morte”, “perché la fede vissuta conduce inevitabilmente all’amore”.
Si dirà che cambia poco. Mica tanto. Perché l’affermazione può essere ricondotta alla Chiesa, e non ai suoi fedeli. Ricordiamo che la vulgata popolare continua a sostenere che Giovanni Paolo II “chiese scusa alle vittime per i peccati commessi dalla Chiesa”, quando in realtà il papa polacco chiese scusa a Dio per i peccati commessi “dai figli della Chiesa”. La Chiesa non sbaglia mai, non può ammettere di sbagliare. Sono macigni teologici, più che sottigliezze, che tuttavia i vaticanisti non colgono pressoché mai. E dunque, inevitabilmente, anche i loro lettori.
Prendiamo un altro esempio. Sul sito della Stampa Giacomo Galeazzi ha virgolettato un’altra affermazione di Ratzinger: “Il fondamentalismo è sempre una falsificazione delle religioni perché Dio invita a creare pace nel mondo e compito delle fedi nel modo è creare la pace”. Ci siamo chiesti, su Facebook, in quale testo sacro il papa avrebbe mai trovato queste frasi. Ma il papa non ha detto questo. Ha detto invece: “Il fondamentalismo è sempre una falsificazione della religione. Va contro l’essenza della religione, che vuole riconciliare e creare la pace di Dio nel mondo”. Dunque nessun invito, e un compito diverso.
Niente di nuovo sotto il sole, insomma. La religione è il non plus ultra, e quando si comporta male (e accade spesso) è colpa di chi la falsifica o di chi le nega. Tanto per cambiare, il papa ha infatti condito le sue argomentazioni con il solito hate speech ateofobo, ribadendo che “senza l’apertura al trascendente, che permette di trovare risposte agli interrogativi del cuore sul senso della vita e sulla maniera di vivere in modo morale, l’uomo diventa incapace di agire secondo giustizia e di impegnarsi per la pace”.
Ci si chiede dunque, ancora una volta, quale sia l’impegno per la pace di testi sacri quali la Bibbia o il Corano, sicuramente assai aperti al trascendente, ma anche pieni zeppi di inviti all’impegno dei credenti in una direzione opposta a quella della pace. Ci si chiede quanto abbiano agito secondo giustizia credenti come san Bernardo di Chiaravalle, secondo il quale uccidere un infedele è un “malicidio”, non un “omicidio”, perché in tal modo si estirpa il male. O come san Tommaso, secondo cui era lecito “giustiziare” il non cattolico.
Si obietterà che Bernardo e Tommaso non hanno mai personalmente ucciso nessuno. Neanche l’Inquisizione, se è per questo, che consegnava uomini e donne condannati “al massimo della pena” al braccio secolare, perché il sacerdote non deve mai versare direttamente sangue. Neanche diversi mandanti di omicidi mafiosi lo hanno fatto. Ma la legge, guarda caso, li condanna in maniera più dura. E senza dimenticare che un predecessore di Benedetto XVI, Giulio II, guidava personalmente l’esercito pontificio in guerra. Perché anche i papi avevano un esercito, e non solo per fini difensivi.
Non si può falsificare impunemente la storia. Tommaso è ancora oggi il dottore della Chiesa più citato dal Catechismo cattolico: se Benedetto XVI crede veramente che “la fede autentica non può condurre alla morte”, spieghi perché il magistero ecclesiastico ha come pilastro un credente dalla fede falsa, vissuta in modo da condurlo ad autentico odio verso chi non la pensava come lui.

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